COS’E’ IL COUNSELING?

A prima vista questa sembra una domanda molto semplice, ma probabilmente è una delle domande più complesse a cui rispondere. Ci sono numerose definizioni della parola “counseling”, e le interpretazioni dei dizionari non sono molto di aiuto poiché tendono a mettere in risalto la parola “consiglio”, che è essenzialmente l’opposto di quello che il counselor intende fornire.

 

Il counseling è la risposta ad una richiesta di aiuto.

 

Il counseling si dà sul serio quando una persona ricerca l’aiuto di un’altra per gestire più efficacemente un problema o più problemi che la assillano in un certo momento della sua vita. Le problematiche attuali possono essere legate ad eventi recenti o infantili oppure possono essere collegati ad eventi futuri a cui si pensa con una certa ansia o preoccupazione. In entrambi i casi, la persona che si presenta per il counseling – il cliente – ha riconosciuto, per lo meno implicitamente, di essere giunta ad uno stallo e di avere bisogno di assistenza per uscirne ed andar avanti nella sua vita.

Il counseling si riferisce all’aiuto offerto ai clienti per una vasta gamma di problemi psicologici ed emozionali: in questo tipo di aiuto non vengono dati consigli, per lo meno non in modo diretto o esplicito.

È importante sottolineare che, spesse volte, i clienti quando si presentano per il counseling nutrono l’aspettativa che il counselor  possieda le conoscenze, la competenza e l’esperienza che ad essi manca. Ma questo è un errore. Il counselor che cade in questo fraintendimento potrebbe cadere in un abuso di potere.

Sebbene l’obiettivo fondamentale del counseling consiste nell’aiutare i clienti ad individuare e a prestare fiducia nelle proprie capacità ed ai propri punti di forza, i clienti il più delle volte vedono la figura del counselor in modo alquanto diverso ed è probabile che si aspettino di sentirsi dire cosa fare e si aspettino dal counselor  un vero e proprio consiglio. Questo accade perché talvolta il cliente vuole sottrarsi al bisogno di fare cambiamenti importanti. Ricevere un consiglio è molto più semplice che imbarcarsi nel processo – spesso doloroso – di auto esaminarsi e cambiare. Altre volte i clienti chiedono un consiglio semplicemente perché desiderano parlare. Non sapendo come avviare la conversazione, vedono nella richiesta di consiglio un modo per riuscirci o comunque  un modo per attivare l’attenzione del counselor. Va anche considerato che talvolta le persone che iniziano un percorso di counseling ricevono pressione per farlo. Quando si viene indotti ad iniziare un counseling a capita che ci sia risentimento (spesso nascosto) da parte del cliente, e chiedere un consiglio è un modo per stare al gioco.

Va sottolineato che in genere le persone non dovrebbero essere “mandate” a fare il counseling, ma la scelta dovrebbe venire da loro stessi, già da lì inizia il processo di cambiamento.

Quando il cliente arriva si sente turbato sotto il profilo emozionale, è vulnerabile e aperto ai suggerimenti, e può essere necessario un bel po’ di tempo prima che sia in grado di identificare pienamente le risorse di cui dispone.

Ci viene in aiuto a questo proposito una definizione della British Association for Counseling che fra le varie definizioni ha definito il counseling anche così:

 

il counselor può indicare le opzioni di cui il cliente dispone e aiutarlo a seguire quella che sceglierà. Il counselor può aiutare il cliente ad esaminare dettagliatamente le situazioni o i comportamenti che si sono rivelati problematici e trovare un punto piccolo ma cruciale a cui sia possibile originare qualche cambiamento. Qualunque approccio usi il counselor lo scopo fondamentale è l’autonomia del cliente: che possa fare le sue scelte, prendere sue decisioni e porle in essere”

 

Allora sorge spontaneo chiedersi come si fa ad aiutare i clienti ad individuare le proprie capacità a  credere in se stessi. Prima di tutto le persone possono sentirsi oppresse dai problemi e dalle forze che considerano al di fuori del loro controllo. Essi possono aver chiesto aiuto ad amici o parenti  che non hanno saputo o non hanno voluto aiutarli e dedicargli del tempo. I counselor, di contro, hanno il tempo e sono disponibili ad impegnarsi e, cosa non di poca importanza, non sono coinvolti emozionalmente con i problemi dei clienti. A ciò possiamo aggiungere che i clienti possono contare sul segreto professionale ed anche sul fatto che il counselor, grazie all’esplorazione approfondita dei propri sentimenti, atteggiamenti e pregiudizi svolta durante la sua formazione, sarà sufficientemente fiducioso e auto consapevole da essere diventato una presenza supportiva e non giudicante.

Il counselor usa una serie di abilità di comunicazione per incoraggiare il cliente a parlare liberamente, ad esprimere le emozioni forti, anche negative se lo desidera e, attraverso questi processi, a raggiungere una comprensione più profonda dei problemi che sta vivendo.

Per raggiungere questi obiettivi, il processo del counseling ha bisogno di una struttura dentro cui il counselor  può lavorare con il cliente in modo coerente e sistematico. Pur non essendo sempre ottimale ed auspicabile aver una struttura rigida dentro la quale muoversi è comunque essenziale averne una come punto di riferimento e guida globale per il processo della terapia d’aiuto.

La struttura dentro la quale muoversi è composta da tre fasi:

Fase 1 – Esplorazione e chiarificazione dei problemi presenti

Fase 2 – Sviluppo di una nuova comprensione (insight); considerazione degli scopi e degli obiettivi

Fase 3 – Concepire ed attuare piani di azione, muovendosi verso le finalità desiderate

 

Le abilità di counseling comprendono:

  • L’ascolto attivo;
  • il formulare domande in un modo propositivo e non porle in forma di interrogatorio;
  • la riformulazione di quel che il cliente ha detto per aiutarlo a chiarire i pensieri, sentimenti ed idee;
  • il riassumere il contenuto di quello che ha detto;
  • l’aiutare il cliente ad essere più specifico e a focalizzarsi sulle aeree e sulle questioni chiave che potrebbero essere più problematiche o difficili per lui da gestire;
  • mettere in discussione, dare informazioni, mettere in risalto le incoerenze, comunicare empatia per tutto il processo del counseling;
  • scegliere strategie appropriate;
  • aprire e chiudere un colloquio;
  • stabilire un rapporto di fiducia;
  • dare una struttura e un ritmo alle sedute;
  • usare la comunicazione non verbale;
  • rispondere appropriatamente ai segnali non verbali;
  • saper tollerare il silenzio;
  • dare feedback;
  • porre obiettivi.

Oltre alle abilità pratiche essenziali ci sono dei prerequisiti ugualmente importanti per l’efficacia di un counselor essi comprendono le condizioni chiavi dell’empatia, del rispetto e della congruenza.

Sottolineiamo quanto sia difficile immaginare come un counselor potrebbe essere efficace senza l’abilità di provare empatia per i suoi clienti.

Ora vale davvero la pena capire bene cosa è l’empatia.

Il termine empatia deriva dal greco “εμπαθεία” (empatéia, a sua volta composta da en-, “dentro”, e pathos, “sofferenza o sentimento”), che veniva usata per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico.

Nel suo uso nella lingua italiana empatia è la capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro (molto vicino al significato di “immedesimazione”, “identificazione”). Con questo termine si intende rendere in italiano quello tedesco di Einfühlung.

L’empatia infatti si esprime attraverso la comprensione e la riflessione del vissuto di un’altra persona e quando è presente, rende una persona capace di comprendere un’altra in modo molto profondo, fino ad accettarla così come è.

Questo atteggiamento determina nell’altro un abbassamento delle proprie difese e una maggiore propensione all’introspezione e alla comunicazione, per cui è possibile avviare un processo di interazione più aperto ed efficace.

Il counselor diventa così un “compagno” del cliente, che lo assiste nella scoperta di significati per lui sconosciuti della propria vita interiore, di quelle esperienze minacciose che non riuscivano ad entrare nel campo della coscienza.

Empatia significa dunque comprendere l’altro dall’interno; ciò implica il sapersi calare nella sua esperienza emozionale e riuscire a provare ciò che l’altro prova: sentirsi con lui, sentirsi dalla sua parte, non solo al suo posto, ma nella sua pelle.

Lo stesso vale per il rispetto che porta con se anche la parola “valorizzazione”.

Rispettare e valorizzare i clienti significa accettarli in modo totalmente non  giudicante, perfino se le loro azioni o i lori sistemi di valori fossero molto differenti da quelli del counselor.

La terza ed ultima condizione è la congruenza, si riferisce all’abilità del counselor di essere realmente una persona aperta rispetto al cliente. Tale apertura si basa sull’onestà e su una comunicazione (verbale e non verbale) chiara, ma questo non significa che ogni suo pensiero debba essere espresso automaticamente. Bisognerà esprimere soltanto gli aspetti della comunicazione rilevanti e utili per ciascun particolare cliente.